domenica 13 marzo 2011

"We sleep between the storm that was and the storm which has to come"


E’ strano, sentirsi sconvolti, dilaniati, scombussolati, buttati qua e là nella vita come pezzi di lamiera arrugginita in balia del caso.
Oscillo tra stati completamente differenti e opposti…"I’m deranged". Qualcuno direbbe che sono semplicemente psicolabile, io penso di essermi smarrita, invece.

Finché c’era una fune tesa tra terra e cielo, tra realtà e sogno, Neve poteva avanzare. La linea era retta, un piede dopo l’altro e la voglia di equilibrio.
La fune stava là, anche se a volte tentavo acrobazie folli, anche se mi allungavo verso le stelle afferrando bolle di sapone piene di sogni, e poi ricadevo facendomi ogni volta più male, affondando nel fango fino alle ginocchia ma rimanendo col naso all’insù. La fune era là, bastava solo risalire.

Non so di preciso cosa mi rimane: me stessa, mi dicono. E dicono anche che dovrei essere egoista, pensare a me…ma io sono quello che do, quello che faccio anche in funzione del mondo e degli altri.
Sento il calore, l’affetto, sento i saggi consigli e le parole di conforto, sento anche l’odore di una libertà incondizionata che mi solletica i piedi.
Ma se guardo meglio vedo solo un baratro, un’infinita cavità buia nel cielo, dove ogni stella brilla da sola. E muore da sola, perché è questo che fanno le stelle di continuo: muoiono.

Mi aggrappo alla luce che vedo, chiudo gli occhi e seguo le sensazioni. Vedo cose splendide, persone magnifiche, ma non riesco ad afferrarle. Mi ci spingo contro con tutte le mie forze, ma non sono capace di darmi realmente: non sono più io, non so più cosa dare se non mi resta nulla.

E’ paura, dicono che sia paura, e questa cantilena risuona come verità assoluta. Ma è una gran cazzata: la paura era quella che mi teneva legata a un’abitudine che stava logorando il mio unico amore.

Non è paura: è consapevolezza.

E’ aver perso l’innocenza del sognatore, la leggerezza del funambolo, la polvere di stelle. Ho dato tutto e ho fallito, ho pugnalato i sentimenti più candidi, ho inseguito il bianconiglio in un inferno dal quale non sono ancora realmente uscita. Ho fatto del male consapevole di farne, ma nulla mi ha fermato.

E’ necessario vivere, seguire i propri istinti, le proprie voglie, i propri desideri. Tutto è così incerto e precario che ogni momento di rassegnazione e accettazione è solo un altro suicidio da killer seriale.
Quindi ci provo, perché no? Ci provo e galleggio, senza più vedere la fune, ma solo la bufera, quella tempesta che mi infuria dentro e che se non imparo a placare farà sicuramente altro male.

E in questo teatro delle marionette in cui l’assurdo trionfa, danzando coi deliri della fantasia, e suonando lunghi e insopportabili requiem, tutto quello che riesco a fare è piangere per un coglione che non ha mai capito dove finisce il suo spropositato ego ed inizia il confine oltre il quale si inizia a voler bene davvero a qualcuno.

Ti odio, sì tu, che non leggerai mai, sappi che ti odio e che mi hai fatto male nel modo più stupido e insulso che mi sia mai capitato.


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