domenica 13 marzo 2011

Hanged


Sospesa in bilico tra l’inferno e il paradiso, con le ali in fiamme e le catene alle caviglie, cerco di convincere me stessa che è necessario lanciarmi da qualche parte, dove non importa: ho soltanto bisogno di precipitare.

So che nulla è reale, nulla di ciò che mi ha fatto provare l’estasi e l’ebbrezza dei sensi può durare, anche se le sensazioni restano latenti sotto la pelle, prudono nel tentativo di uscire, cercano una via mischiandosi al sangue, e pervadendo ogni centimetro del mio corpo diventano sempre più enormi, ingigantite, insopportabili.

Lui è dappertutto, è nella mia mente. Ma lui è un’illusione, e sono perfettamente consapevole del fatto che quello che mi ha dato era solo un riflesso sbiadito di desideri individuali. Tutto nella mia mente. Ma quella sensazione che attanaglia lo stomaco è reale, ed è così intensa da generare un dolore che non sembra potersi estinguere mai.

Non si estingue, nonostante le lacrime abbiano reso gli occhi stanchi e incapaci di vedere la luce, perché la luce brucia come un tizzone incandescente, e quel che rimane da vedere non è abbastanza rassicurante da valere lo sforzo di lasciar incendiare le retine al contatto con la realtà.

Abito insieme ai miei fantasmi, sono con me, stanno al mio fianco, nella mia ombra, nelle pieghe delle parole e nei respiri che muoiono in gola.

Penso a lui che non se ne andrà mai da qui, che porterò sempre dentro di me come un gemello abortito, come una parte necessaria alla mia esistenza che ho volutamente soppresso e ferito. 
E la verità è che non riesco nemmeno a parlare di lui, non riesco a urlare per lui, non riesco nemmeno a pensare seriamente che ora sono ancora io, ma senza di lui. Forse perché in fin dei conti non è più  vero che sono ancora io.

E’ questo che fa l’amore: ti si insinua nelle viscere e ti pianta dentro un cancro che cresce insieme a te, che si espande e si ramifica in ogni angolo del tuo essere, che ha vita propria eppur si nutre di te, come parassita che prima o poi degenera, si corrode, marcisce portandoti via con sé.
No, non muori realmente, perché è solo una fottuta metafora, ma muore una parte di te, quella parte che paradossalmente è l’unica che ha vissuto davvero.
Perché l’amore è un mostro che prima o poi ti dilania l’esistenza, ma finché ciò non accade ti regala la possibilità di essere felice e appagato in un modo che non sono mai riuscita a descrivere. E quando non riesco a descrivere qualcosa con le parole, allora capisco quanto quel qualcosa è prezioso.
L’amore più bello e vero che avrò mai: come suona banale, eppure la verità più semplice e sincera è sempre banale.

Non volevo parlare di lui, non riesco realmente a parlare di lui, ci giro solo intorno con le parole e mi graffio il cuore nel tentativo di risultare più credibile. Ma non posso essere credibile, perché io l’ho ucciso quell’amore.


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