domenica 27 marzo 2011

Trying to get well

L’alba arriva cancellando una bianca luna dipinta a gessetto sul buio del cielo.

E’ piena ma non è tonda, e si perde nelle sfumature trascinate sulla tela da qualche artista maldestro, che ha voluto troppo toccarla rovinandone il candore.

Luna sfuocata e impalpabile, privata dei suoi occhi di perla e soffocata da una foschia cupa.

Pensavo che a volte siamo così romantici da desiderare un dramma di cui in fin dei conti abbiamo sempre avuto il terrore. E la fregatura è che quando questo desiderio inizia ad assalirci, quel dramma è già cominciato senza che noi ce ne accorgessimo.

Allora serve scrivere, perché scrivere è una forma di pazzia, ma nel momento in cui escono le parole la soluzione è nell’inchiostro, e il dramma è già passato.

Sangue e veleno continuano a mischiarsi sotto la pelle, mentre il corpo reagisce tremando, per buttare fuori quel qualcosa che non esiste ma fa male, spinge da dentro, soffoca.

Tra le ossa spolpate dalla paura di diventare quel che si odia, e le spine cresciute sulla pelle per illudersi che dal dolore si impara la difesa, rimane viva la vertigine, l’ottenebrante e irrefrenabile desiderio di cadere.

A cosa servono le spine se poi basta una pecora disegnata su un foglio di carta per uccidere una rosa?

Siamo sempre fregati in partenza, eppure ci ostiniamo a cercare soluzioni e vie di fuga.

Ma quando si è davanti a uno sterminato nulla che non si lascia esprimere, che cosa ci rimane?

I sogni, forse. Il potere della mente immaginativa. Ma sotto i miei piedi s’estende un cimitero di cocci di illusioni che un tempo brillavano come stelle in un firmamento di sogni, e non mi chiedo più come si fa a passarci sopra.

La mente è leggera come ali di farfalla, ma il cuore pesa sempre come un macigno, perché il cuore non dimentica mai.

Stringo la presa e sanguina, sanguina ancora. Sotto la pelle c’è un cosmo di lividi dimenticati, di baratri bui, di spine senza utilità.

Poche cose sono certe come il freddo di questo inverno.

Ho bisogno di non aver più bisogno.


* * * * *


«Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio.
Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità.
E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme
tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio.
Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei.
E lo ha fatto. E’ scoppiata tutto d’un colpo.»


E’ necessario smettere di farsi delle domande prima o poi.
E trattenere in bocca il sapore di una vita che dopo esserti stata cucita perfettamente addosso, scivola via con incomprensibile naturalezza, portandosi dietro il buono e il brutto di te, senza far distinzione tra ciò che era morto da tempo sulla tua pelle e ciò che ancora ti era necessario per vivere.

Bisogna continuare a rimescolare quel sapore, e distillarlo con sapiente meticolosità, fino a raggiungere l’essenza di ciò che si è perduto, e scoprire il modo di trovarlo incredibilmente dolce.


* * * *


«È uno strano dolore... Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai.»

I sogni hanno una corazza dura quanto più li abbiamo nutriti e alimentati d’affetto e cure.
Ma spesso il rapporto che abbiamo coi sogni è morboso e malato.
E’ infetto all’origine, non ha possibilità di redimersi.

Che i sogni vissuti siano tutto frutto della nostra fantasia, o che ci siano stati imposti da qualcuno, o che più sottilmente si siano fatti strada negli spazi vuoti di un’esistenza disagiata, non ha veramente importanza.

A cosa serve chiedersi se ciò che si è vissuto si sorreggeva sulle fragili basi dell’illusione?
Se i bisogni vissuti erano alimentati da menzogne e ipocrisie?
Rovinerebbe ogni cosa, anche il bello di ciò che si ha avuto.

Le ferite non si spartiscono mai equamente tra due anime, ma ciò che si è donato rimane l’unica certezza di aver condiviso qualcosa, di aver seminato qualche luce autentica e colma di sentimento, anche nel deserto illusorio più desolato.

«Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci,
non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta.
Si è anzi felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai.
Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico,
tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì,
senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso,
ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu.»

«Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme,

e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede.
Mica per altro che vivere è un mestiere gramo.
Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire. »



* * * *

“La cosa bella dei deserti è che da qualche parte nascondono sempre un pozzo” - direbbe un certo Principe, uno di quelli veri, uno di quelli con un cuore.


E se non ci si sbriga a scavare sotto i detriti che ci siamo lasciati cadere addosso, per trovare quel pozzo nascosto al quale attingere per reinventarci, è possibile che nella miseria in cui già versiamo, ci sia qualcun altro che gode a prendersi gioco di noi.

Qualcuno come il Tempo, che se da un lato cura, dall’altro corre come un forsennato, lasciando addosso quella sensazione di star lì sul binario sapendo di aver perso un’altra volta il treno.

«Sai cos’è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia,
e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia
e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde. E’ come se non fosse mai passato nessuno.
E’ come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera.
E’ tempo. Tempo che passa. E basta. »


«Davvero ci sono momenti in cui l’onnipresente e logica rete delle sequenze casuali si arrende,
colta di sorpresa dalla vita, e scende in platea, mescolandosi tra il pubblico,
per lasciare che sul palco, sotto le luci della libertà vertiginosa e improvvisa,
una mano invisibile peschi nell’infinito grembo del possibile e tra milioni di cose,
una sola ne lasci accadere. »


Come si fa a tenere tutto dentro e a passare le ore a riordinarlo, senza che ci sia una sola possibile combinazione sulle centinaia che la probabilità offre, che riesca a far combaciare gli spigoli taglienti fino a trovare un incastro accettabile?

Sei ancora lì che cerchi di aggiustarti e di digerire tutto quello che continuamente sei sul punto di rigurgitare, quando il caso ti sbatte addosso e ti lascia lì con una possibilità sul palmo della mano aperta.

Non serve ragionare, occorre vivere. E occorre stringere quella mano a pugno fino a farla sanguinare, per custodire tutto quello che deve continuare a far parte di te, e per difenderti a nocche chiuse da tutto ciò che cerca di annullarti, atterrirti e calpestare la tua dignità.
Così poche cose al mondo meritano veramente il contatto carezzevole di quella stessa mano, pronta a sacrificarsi di nuovo per non diventare arida e avvizzita.

«Poi non è che la vita vada come tu te la immagini.
Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Così... Io non è che volevo essere felice, questo no.
Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri.
Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente:
il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No.
Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera.
Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito.
Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile:
e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male.
E’ lì che salta tutto, non c’è verso di scappare,
più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci.
Non si ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare.
Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male
che tu non te lo puoi nemmeno immaginare. »


Occorre scegliere e costringersi ad aprire gli occhi, spalancarli su tutto ciò che terrorizza e annienta, ma che insegna anche a svegliarsi nei confronti del mondo e delle persone.

Occorre capire la differenza tra bisogno e desiderio, e trovare il coraggio di accettare la sfida.

«Forse il mondo é una ferita
e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano -
e nemmeno é amore, questo é stupefacente,
ma é mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore -
tristezza, forse - perfino tristezza - desiderio -
quando lo racconteranno non diranno la parola amore
- mille parole diranno, taceranno amore - tace tutto, intorno. »

«Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è,

tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela,
io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio. »

(A. Baricco – Oceano mare)






E’ tutto nella mente, solo nella mente. E siamo soli, ognuno lo è.

Soli con tutto ciò che costruisce il pensiero, soli con le cicatrici lasciate dai sentimenti che ne derivano.

Per quanto io sanguini e mi aggrappi al senso che le cose devono pur avere, nascosto da qualche parte sotto la superficie di menzogne, tutto ciò che il mio cuore vomita, nel tentativo di liberarsi dei propri fantasmi, non sarà mai abbastanza.

Nulla esiste fuori da noi stessi.

Non ti ho mai toccato veramente, non potrò mai.

Tutto finisce giù per qualche scarico, nell’insignificante quotidianità della rassegnazione.

Nessuna voce di ragionevolezza.

"Ecco perché anche se in stato di coma, boccheggiante cerchi di rinviare l'istante in cui esalerà l'ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un'ora, un minuto. Ecco perché, infine, anche quando smette di respirare esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo…" (O. Fallaci)
Non c’è nulla fuori. Non mi importa più.

Tutto è niente: niente ho avuto, tutto avrò.

E’ solo nella mia testa, e io devo ucciderlo.


* * * * *

Con tutta me stessa vorrei soltanto riuscire a fermarmi, smettere di camminare e basta. Il pensiero che ci sia un domani, e poi un dopodomani, e poi un altro giorno ancora, mi sembra semplicemente insostenibile.

E mi ripugna l’idea di continuare a sopportare quella sensazione di sconforto che sorregge la mia figura, la mia figura ingrata che percorre strade senza uscita, mescolandosi a centinaia di passanti senza mai rivelare lo scompiglio che porta dentro.

Il sole brucia le retine e infiamma il buio profondo di pupille dilatate quanto basta per sforzarsi di vedere. L’unico modo di realizzare i sogni è svegliarsi, ma più spalanco gli occhi e più vedo cremisi.

Che ci sia il sole splendente, o il buio della notte più mite e stellata, se chiudo gli occhi è sempre la stessa cosa che vedo. Una macchia che si espande e fagocita tutto.

Chissà come doveva essere strano ammirare l’essenzialità candida del bianco che si allunga all’infinito, puro e incontaminato fin dove l’occhio può vedere, eppure sentire il sapore del rosso cremisi sulla lingua impastata di rabbia e disperazione. Chissà se scrivi ancora.

Non importa quanto sia lunga e faticosa la strada, perché tanto sai benissimo che ogni svolta ti riporta dritto all’inferno. E allora che sia freddo e che sia gelido. Che sia sangue e che sia neve.

Che sia sole, e caldo, e sorrisi, e parole, e voglia di star bene.

Che sia vento, e che si porti via tutto quanto.

“Piangi per le promesse che sono morte.
Una lacrima per ogni bugia.
L'amore squarcia dentro da sempre,
e io sono l'unico a custodire il tuo dolore.”


Si ha paura di mille cose, dei dolori, dei giudizi, del proprio cuore, del risveglio, della solitudine, del freddo, della pazzia, della morte... specie di questa, della morte. Ma tutto ciò è maschera e travestimento.
In realtà c'è una cosa sola della quale si ha paura: del lasciarsi cadere, del passo incerto, del breve passo sopra tutte le assicurazioni esistenti. E chi una volta sola si è donato, chi una volta sola si è affidato alla sorte, questi è libero. Egli non obbedisce più alla legge terrena, è caduto nella spazio universale e partecipa alla ridda delle stelle.
(H. Hesse)





"E ti vien voglia di sapere se in tutte le storie viene detta la verità.
E ti viene voglia di rinascere, e come un serpente strisciare
ad ogni stagione calda verso una nuova forma." 

Made of Storm

- tick tock tick tock -

tempo e tempo ancora

- tick tock tick tock -

tempo su tempo
passato ad aspettare
..aspettare..
sempre
aspettare

come una volpe addomesticata
da un principe infame.


*  *  *  *

Ho paura di rivederti, e invece scopro quanto è stupendo sapere che sei lì, che esisti, che ci siamo amati davvero, che sai dirmi ancora le cose che nessuno saprebbe mai.
Mi stupisci e mi disarmi, ti ho amato e ti voglio bene. Mi rispetti, ci sei. A volte mi manchi da morire, ma so che è stato giusto così. 
E' quel tipo di dolore che riesce a diventare dolce, perchè è ricolmo di tutto il bello che abbiamo condiviso.

Sei l’unica perla in mezzo alla spazzatura della mia vita che continua a brillare e a rimanermi nel cuore.

Si può essere felici pur senza smettere di sentirsi tristi.
Ci si può sentire fortunati pur avendo perso tutto.

E’ quel che si da alle persone che conta, è quello scambio che si fa senza accorgersene, quel modo di crescere insieme imparando a vedere le cose attraverso occhi riflessi.

E’ la lucidità del visionario che cerca di darsi una ragione.

"Let’s grow cold together - Alone"


*  *  *  *

"L’ho già detto? Imparo a vedere.."

Non brucia più, adesso vedo tutto.
Ti vedo.
Non vali niente.

Perchè accontentarsi di un grano che non fa nemmeno sorridere quando si possono avere le stelle?

Io non vinco, ma tu perdi di più.


*  *  *  * 

Ho deciso che non voglio più fare la volpe.
Voglio i sonagli che ridono, milioni di sonagli.

"Sai, è questa la dannazione del filosofo: la consapevolezza."

Sei lì davanti a me e sei la cura. Sei tutto quello che accade quando meno te l'aspetti, sei l'abbraccio che arriva nell'unico momento in cui lo vorresti, quando tutto sembra combaciare alla perfezione per un solo minuscolo istante, mentre tutto intorno infuria la bufera. 

No, non sei solo una cura. Sei meraviglioso, una persona che meriterebbe tutto l’amore del mondo, quell’amore che non sono più capace di dare. 

Mi piace tutto di te, sono attratta come una calamita e vorrei viverti ogni secondo, stare lì a guardarti, vedere come ti comporti, pendere dalle tue labbra quando parli.

Sei così diverso da lui, tutto è diverso. Tu capisci, hai una mente incredibile, una sensibilità profonda, un altruismo genuino e un modo di fare autentico e immediato. 
C’è un abisso tra le sue bugie e il suo egoismo viziato, e la tua schiettezza disarmante, la tua consapevolezza di non avere niente se non la libertà del tuo pensiero.

Curami o uccidimi di nuovo, non ci sono altre soluzioni. Non mi vedo più. So di stare sull’orlo della voragine, eppure non sono io. Vorrei cercarmi, ma ho paura di ciò che troverei.

Ci ho già provato a cambiare le stelle, e lo so che non funziona. Vuoi farlo con me? 
Ci faremo male a vicenda, dannatamente male.










Timekiller

"Vattene via, lasciami solo
sento la tua presenza nella mia mente
il tempo sembra fermarsi, ti lascio libero
tu calmi la mia mente..calmi la mia mente
rendi i miei sogni realtà
ogni volta mi sembra che finzione e realtà
si mescolino insieme per l’eternità
parole liquide gocciolano lungo le scale
riempendo il vuoto di significato
tu ed io sul pavimento
galleggiando sulla nostra sensibilità.

Hai bisogno di un passatempo e non capisci
io sono come sabbie mobili, leccale dalla mia mano
Io sono il tuo passatempo, lascio la tua mente espandersi
Sono come sabbie mobili, leccale dalla mia mano

tick tock tick tock, la follia giunge stanotte
cos’è la realtà comparata a me?
mi riposo sul mio letto e so che lentamente impazzirò
sono in uno stato mentale che mi rende cieco
per via del fatto che sono un uomo
Sono qui per rimanere per sempre, ma non oggi.

Hai bisogno di un passatempo e non capisci
io sono come sabbie mobili, leccale dalla mia mano
Io sono il tuo passatempo, lascio la tua mente espandersi
Sono come sabbie mobili, leccale dalla mia mano

Nel mio cuore non c’è posto per te
e nella mia mente non c’è spazio per te
l’uscita si è già dissolta
e ora non c’è più nulla da dire

you need a timekiller and you don’t understand
I am like quicksand lick it from my hand
I am your timekiller I let your mind expand
I am like quicksand lick it from my hand."


“Sei tu, mi piace perché sei tu.”
Te l’ho scritto quella notte mentre ascoltavo le tue canzoni e guidavo verso l’alba, piangendo come una stupida che presagisce già il peggio destinato a venire. Nessuna risposta ovviamente, tu non rispondevi già più, eppure lo so che hai capito.
Quella che avrebbe dovuto capirlo prima, purtroppo, sono io. Come ho fatto ad essere così cieca? Lo sei sempre stato, era tutto davanti ai miei occhi ma io non volevo vedere.

Abbiamo colmato i vuoti, ammazzato il tempo, mischiato finzione e realtà. Ma in quella malattia che era diventata bisogno non ci poteva essere che illusione e follia. Sei sempre stato come sabbie mobili, inafferrabile e rinchiuso nel tuo mondo dove c’è posto soltanto per te.

Vorrei che avessi avuto le palle di non fare lo splendido e calare la maschera molto tempo fa. Avrei amato anche lo schifo di te, avrei accettato i compromessi e compreso entro quali argini muovermi.
Invece hai lasciato che la mia mente si espandesse, hai lasciato che la bugia diventasse così enorme da non essere più digeribile in alcun modo.

E adesso non c’è più nulla da dire, hai chiuso la porta, sbarrato l’uscita. Io sono fuori da qualunque cosa.
Usabile, sacrificabile, facile da gettare e ignorare. Sapevi quanto ero fragile, sapevi tutto, e te ne sei fregato.
Come può non essere malato il bisogno di una persona così spregevole?

Non è il tempo che va ucciso, ma l’idea perversa di poter trovare la luce dove invece c’è solo un’immensa voragine nera. Non hai mai avuto nessuna luce, era tutto nella mia testa, solo nella mia testa.

E se c’è una voragine dentro di me, quella voragine che tu riempivi, la soluzione non è fagocitarti e trattenerti in me.
Mi tengo la voragine, mi tengo il vuoto, mi tengo il tuo ricordo che fa male, il sapore in bocca dei tuoi baci fasulli, la consapevolezza di aver sbagliato. Mi hai inferto il colpo mortale, mi hai lasciata a terra esausta e svuotata di tutto quello che ho sempre voluto darti.

Non vali niente, lo so bene, non ho amato altro che un’idea nella mia mente, e non sarò mai più così stupida da lasciarmi pugnalare alle spalle da chi non merita nemmeno un briciolo delle mie attenzioni.
Ma quel che mi hai fatto mi ha segnata, e dio solo sa quanto ti odio per questo, quanto ti odio a tal punto che potrei amarti di nuovo.

Ma mi fai schifo, e dall’orlo di quella voragine rimarrò ad osservare da sola il vuoto che mi resta, il trauma che m’hai lasciato, la paura di caderci di nuovo.
Un giorno capirò con cosa la devo riempire, e allora rimarrà una fossa là sotto, una fossa per te, senza lapidi e vessilli, colma solo di veleno e di promesse dimenticate.

Esci da me…ti scongiuro, esci.

domenica 13 marzo 2011

"We sleep between the storm that was and the storm which has to come"


E’ strano, sentirsi sconvolti, dilaniati, scombussolati, buttati qua e là nella vita come pezzi di lamiera arrugginita in balia del caso.
Oscillo tra stati completamente differenti e opposti…"I’m deranged". Qualcuno direbbe che sono semplicemente psicolabile, io penso di essermi smarrita, invece.

Finché c’era una fune tesa tra terra e cielo, tra realtà e sogno, Neve poteva avanzare. La linea era retta, un piede dopo l’altro e la voglia di equilibrio.
La fune stava là, anche se a volte tentavo acrobazie folli, anche se mi allungavo verso le stelle afferrando bolle di sapone piene di sogni, e poi ricadevo facendomi ogni volta più male, affondando nel fango fino alle ginocchia ma rimanendo col naso all’insù. La fune era là, bastava solo risalire.

Non so di preciso cosa mi rimane: me stessa, mi dicono. E dicono anche che dovrei essere egoista, pensare a me…ma io sono quello che do, quello che faccio anche in funzione del mondo e degli altri.
Sento il calore, l’affetto, sento i saggi consigli e le parole di conforto, sento anche l’odore di una libertà incondizionata che mi solletica i piedi.
Ma se guardo meglio vedo solo un baratro, un’infinita cavità buia nel cielo, dove ogni stella brilla da sola. E muore da sola, perché è questo che fanno le stelle di continuo: muoiono.

Mi aggrappo alla luce che vedo, chiudo gli occhi e seguo le sensazioni. Vedo cose splendide, persone magnifiche, ma non riesco ad afferrarle. Mi ci spingo contro con tutte le mie forze, ma non sono capace di darmi realmente: non sono più io, non so più cosa dare se non mi resta nulla.

E’ paura, dicono che sia paura, e questa cantilena risuona come verità assoluta. Ma è una gran cazzata: la paura era quella che mi teneva legata a un’abitudine che stava logorando il mio unico amore.

Non è paura: è consapevolezza.

E’ aver perso l’innocenza del sognatore, la leggerezza del funambolo, la polvere di stelle. Ho dato tutto e ho fallito, ho pugnalato i sentimenti più candidi, ho inseguito il bianconiglio in un inferno dal quale non sono ancora realmente uscita. Ho fatto del male consapevole di farne, ma nulla mi ha fermato.

E’ necessario vivere, seguire i propri istinti, le proprie voglie, i propri desideri. Tutto è così incerto e precario che ogni momento di rassegnazione e accettazione è solo un altro suicidio da killer seriale.
Quindi ci provo, perché no? Ci provo e galleggio, senza più vedere la fune, ma solo la bufera, quella tempesta che mi infuria dentro e che se non imparo a placare farà sicuramente altro male.

E in questo teatro delle marionette in cui l’assurdo trionfa, danzando coi deliri della fantasia, e suonando lunghi e insopportabili requiem, tutto quello che riesco a fare è piangere per un coglione che non ha mai capito dove finisce il suo spropositato ego ed inizia il confine oltre il quale si inizia a voler bene davvero a qualcuno.

Ti odio, sì tu, che non leggerai mai, sappi che ti odio e che mi hai fatto male nel modo più stupido e insulso che mi sia mai capitato.


Hanged


Sospesa in bilico tra l’inferno e il paradiso, con le ali in fiamme e le catene alle caviglie, cerco di convincere me stessa che è necessario lanciarmi da qualche parte, dove non importa: ho soltanto bisogno di precipitare.

So che nulla è reale, nulla di ciò che mi ha fatto provare l’estasi e l’ebbrezza dei sensi può durare, anche se le sensazioni restano latenti sotto la pelle, prudono nel tentativo di uscire, cercano una via mischiandosi al sangue, e pervadendo ogni centimetro del mio corpo diventano sempre più enormi, ingigantite, insopportabili.

Lui è dappertutto, è nella mia mente. Ma lui è un’illusione, e sono perfettamente consapevole del fatto che quello che mi ha dato era solo un riflesso sbiadito di desideri individuali. Tutto nella mia mente. Ma quella sensazione che attanaglia lo stomaco è reale, ed è così intensa da generare un dolore che non sembra potersi estinguere mai.

Non si estingue, nonostante le lacrime abbiano reso gli occhi stanchi e incapaci di vedere la luce, perché la luce brucia come un tizzone incandescente, e quel che rimane da vedere non è abbastanza rassicurante da valere lo sforzo di lasciar incendiare le retine al contatto con la realtà.

Abito insieme ai miei fantasmi, sono con me, stanno al mio fianco, nella mia ombra, nelle pieghe delle parole e nei respiri che muoiono in gola.

Penso a lui che non se ne andrà mai da qui, che porterò sempre dentro di me come un gemello abortito, come una parte necessaria alla mia esistenza che ho volutamente soppresso e ferito. 
E la verità è che non riesco nemmeno a parlare di lui, non riesco a urlare per lui, non riesco nemmeno a pensare seriamente che ora sono ancora io, ma senza di lui. Forse perché in fin dei conti non è più  vero che sono ancora io.

E’ questo che fa l’amore: ti si insinua nelle viscere e ti pianta dentro un cancro che cresce insieme a te, che si espande e si ramifica in ogni angolo del tuo essere, che ha vita propria eppur si nutre di te, come parassita che prima o poi degenera, si corrode, marcisce portandoti via con sé.
No, non muori realmente, perché è solo una fottuta metafora, ma muore una parte di te, quella parte che paradossalmente è l’unica che ha vissuto davvero.
Perché l’amore è un mostro che prima o poi ti dilania l’esistenza, ma finché ciò non accade ti regala la possibilità di essere felice e appagato in un modo che non sono mai riuscita a descrivere. E quando non riesco a descrivere qualcosa con le parole, allora capisco quanto quel qualcosa è prezioso.
L’amore più bello e vero che avrò mai: come suona banale, eppure la verità più semplice e sincera è sempre banale.

Non volevo parlare di lui, non riesco realmente a parlare di lui, ci giro solo intorno con le parole e mi graffio il cuore nel tentativo di risultare più credibile. Ma non posso essere credibile, perché io l’ho ucciso quell’amore.


venerdì 11 marzo 2011

Beauty of the beast

~ Ricordi racchiusi in bolle di sapone ~

* . * . * . *

Vivo giorni simili l’uno all’altro, giorni inondati dal calore di un sole primaverile accecante, così luminoso da far sembrare ancora più lontani i miei sogni di neve.
Ho indossato nuovamente i panni della mia vita, e non mi stanno più così stretti come mi erano sembrati. Ora lascio che le cose seguano il loro corso, seguendole a distanza e con discrezione.

Però a volte ancora mi capita, spesso nei momenti più banali, di avere visioni simili a ricordi. Allora mi fermo, chiudo gli occhi per qualche istante, e cerco di trattenere quelle immagini nella mia mente, come se potessi sentirne ancora il sapore.
Brevi momenti di una bellezza intangibile, visioni segrete che affiorano dal buio della mia anima, e che riscaldano il mio cuore lasciandomi solo una lieve amarezza passeggera.

Non mi chiedo più nemmeno il perché. Ho scelto con coscienza questa volta, e va bene così.
Mi rimangono tra le mani tanti piccoli frammenti di cristallo in cui ho racchiuso i miei sogni, gli stessi sogni che prima lasciavo volare liberi in colorate bolle di sapone, ma che ora non posso più seguire.
Li tengo per me come piccoli tesori segreti, e non faccio altro che ripetermi all’infinto che sono stata fortunata.

Immagino il Tempo che mi trotterella alle spalle come un’ombra dalla forma indefinita, e so che sarà lui ad aiutarmi, a togliermi di dosso l’odore, la voglia di te, e quella sensazione forte della tua presenza.

Certi binari a volte si incrociano quasi per caso, si attraversano, diventano tutt’uno per un breve tratto…e poi proseguono, paralleli e distanti verso l’orizzonte.


* . * . * . *

Non esistono più notti in cui le stelle non mi divorino e l’immensità del cielo non mi raggeli, non dopo quelle notti lontane in cui ho scritto il mio ultimo requiem.
E non esiste una fine a quello che è stato il più lungo anno della mia vita, un anno che non sembra voler passare senza prima avermi tormentato con i ricordi che tornano ciclicamente, ruotando su loro stessi.
Vedi, ho una dannata memoria…esatta, spietata, infallibile. Così ogni cosa ritorna, amplificata, e i giorni si susseguono senza lasciarmi respirare…le ombre passate si sovrappongono a quelle presenti, e tutto, tutto, mi parla di quel che vorrei dimenticare.

Non ho più speranze, né voglie, né obiettivi: porto avanti la mia esistenza solo per gli altri…sì, sono la persona che gli altri vogliono che io sia, la persona che conoscevano e che si aspettano che ancora esista.
Così fingo di essere quella di sempre, fingo perfettamente di avere ancora quella luce speciale che a tutti piaceva, e che finta non lo era affatto. Lo faccio perché so che così li rendo felici, e tutto scorre, come in un fiume sereno e immutabile.

Ma in quei momenti..i momenti in cui la mia mente si ferma a pensarci…allora è come morire di nuovo. Centinaia di volte continuo a morire, e non fa più nemmeno male…è solo dannatamente insopportabile.
Io non esisto, capisci? Non esiste più niente di quello che ero. C’è solo un teatrino che orchestro ad arte e che finché riuscirò a portare avanti sarà l’unico scopo della mia vita. E perché lo faccio? Per gli altri, sì…in parte lo faccio per chi mi è accanto. Ma in parte è perché so che dietro quel sipario c’è solo un infinito nulla che la mia mente non potrebbe sopportare.

Lo scorso inverno è stato il più lungo che io abbia mai vissuto: splendido e terribile allo stesso tempo.
Ho sentito sulla mia pelle cose incredibili, e per l’ultima volta tu mi hai ricordato cosa vuol dire assaporare la vita, assistere a un sogno che diventa realtà. Tu mi hai fatta a pezzetti, ed è stato come il gran finale delle opere teatrali, quello in cui si raggiunge l’apice prima che tutto scompaia nel silenzio di un pesante sipario.
Ma è stata anche la mia condanna a morte, nel momento in cui ho calpestato le promesse che avevo fatto, macchiato la mia coscienza in modo indelebile, perso definitivamente quell’innocenza di chi sa sognare senza colpe e senza ombre.

Ho sepolto me stessa nel momento in cui ho detto addio all’ultimo dei sogni.
Ma non ho scavato abbastanza a fondo. Devo seppellirmi più giù…più giù..perché mi sento ancora sussurrare. E quando imparerò a dimenticare sarà tutto più semplice.

E ora che piango su quel che sono stata, capisco che la vita forse è fatta proprio così: un giorno ti svegli e smetti di vivere. Un giorno di svegli e ti guardi vivere, e così per il resto dei tuoi giorni.


* . * . * . *

Il rumore regolare del treno che sfreccia sui binari, un vociare soffuso e continuo, e una brezza leggera che mi da sollievo sfiorandomi il viso. Non so quanto tempo sia passato, so solo che sono crollata addosso al finestrino e che ho dormito un sonno senza sogni.
Quando ho riaperto gli occhi, sfregandomeli piano mentre li lasciavo abituare alla luce, esattamente al di là del vetro c’era il cartello “Roma”.

E’ strano…risvegliarsi proprio nel luogo in cui invece un tempo ho potuto sognare.

Mi sono quasi smarrita nuovamente, in quel limbo tra il sonno e la veglia, sforzandomi di annullare tutto il resto, di tornare là dove tutto era possibile.
Ma lo scorrere rapido della vita non concede di fermarsi troppo a lungo. Il treno riparte, i sogni sfumano.

La sera prima era il 10 agosto. Mi sono messa una felpa più grande di qualche taglia e mi sono raggomitolata su me stessa, dopo essermi arrampicata sul tetto dove il freddo pungente ricordava l’inverno.
Ho visto una stella cadere e bruciare. E’ una fine orribile, ma è così spettacolare.
Non ho pensato a nulla, nessun desiderio, nessun sogno. Tutto ciò che potevo desiderare l’ho già avuto.
Immaginavo la tua mente lontana e mi chiedevo se stessi bene, mi chiedevo se ci sarebbero state abbastanza stelle da bruciare per ricreare un sogno così bello come il nostro.

Il treno ha ripreso la sua corsa, sempre più a sud. La mia vita ha preso la “giusta” piega, e io non ho fatto altro che adattare le mutevoli forme della mia coscienza a quella piega che si conviene. Non mi lamento: è un vestito che ho imparato a portare, e che mi regala a volte una discreta serenità.
Ma mi rimangono pensieri silenziosi, ricordi adagiati sul fondo del mio cuore, sedimentati, e che la mia mente evita accuratamente di disturbare.
Lo fa per me il mio inconscio, quando la ragione dorme, e i sogni mi fanno rivedere il tuo volto con quella precisione che la mia mente desta non riesce più a ricostruire.
Non ti sognavo da tanto. Nulla di particolare, eri semplicemente tu. Eri con me.

Tornando a casa ho alzato il viso e ho visto un’altra stella. Questa volta ho desiderato che tu stessi bene.
Spero che almeno le stelle continuino sempre a brillare, anche se alcune precipitano dove c’è solo un deserto di sogni dimenticati.


Stars will fall


"Fallen
From the faded sky
Nephilim comes through foul air
And when morals will decline
God of ruin
Will come to you"


Il cielo che si fa di piombo e scende lentamente sulle nostre teste come presagio di sventura.
L'aria che diviene densa, fumo che intasa i polmoni e cenere sulle labbra.

Se c'è qualcosa che vorrei adesso è liberarmi di due ali immaginarie che non hanno fatto altro che intralciarmi, rendermi goffa come l'lbatro di Baudelaire, regalarmi l'illusione di poter avanzare sulla fune tesa tra le stelle, cercando di star aggrappata ai miei sogni effimeri.

Tutto quanto intorno a me adesso è logoro e inutilizzabile. Non ho più voglia di cambiare le stelle, nè di rattoppare il cielo. Non so nemmeno più scrivere con sincerità.
E' a questo che deve servire questo spazio...voglio ricominciare a dire tutto quello che mi passa per la testa.
Voglio ritrovare l'ebbrezza di vivere come se tutto fosse ancora possibile, anche se so di aver perso troppi pezzi per strada, e di essere un rottame che si trascina sulla sua fune instabile, sognando di poter ricominciare.





“Se pur gridassi, chi mi udrebbe
dalle gerarchie degli angeli?
E se uno mi stringesse d’improvviso al cuore,
soccomberei per la sua troppo forte presenza.
Perché nulla è il bello, se non l’emergenza
del tremendo: forse possiamo reggerlo ancora,
ed ammirarlo anche, perché indifferente
non degna distruggerci.
Ognuno degli angeli è tremendo…”


R. M. Rilke – Elegie duinesi