domenica 27 marzo 2011

Trying to get well

L’alba arriva cancellando una bianca luna dipinta a gessetto sul buio del cielo.

E’ piena ma non è tonda, e si perde nelle sfumature trascinate sulla tela da qualche artista maldestro, che ha voluto troppo toccarla rovinandone il candore.

Luna sfuocata e impalpabile, privata dei suoi occhi di perla e soffocata da una foschia cupa.

Pensavo che a volte siamo così romantici da desiderare un dramma di cui in fin dei conti abbiamo sempre avuto il terrore. E la fregatura è che quando questo desiderio inizia ad assalirci, quel dramma è già cominciato senza che noi ce ne accorgessimo.

Allora serve scrivere, perché scrivere è una forma di pazzia, ma nel momento in cui escono le parole la soluzione è nell’inchiostro, e il dramma è già passato.

Sangue e veleno continuano a mischiarsi sotto la pelle, mentre il corpo reagisce tremando, per buttare fuori quel qualcosa che non esiste ma fa male, spinge da dentro, soffoca.

Tra le ossa spolpate dalla paura di diventare quel che si odia, e le spine cresciute sulla pelle per illudersi che dal dolore si impara la difesa, rimane viva la vertigine, l’ottenebrante e irrefrenabile desiderio di cadere.

A cosa servono le spine se poi basta una pecora disegnata su un foglio di carta per uccidere una rosa?

Siamo sempre fregati in partenza, eppure ci ostiniamo a cercare soluzioni e vie di fuga.

Ma quando si è davanti a uno sterminato nulla che non si lascia esprimere, che cosa ci rimane?

I sogni, forse. Il potere della mente immaginativa. Ma sotto i miei piedi s’estende un cimitero di cocci di illusioni che un tempo brillavano come stelle in un firmamento di sogni, e non mi chiedo più come si fa a passarci sopra.

La mente è leggera come ali di farfalla, ma il cuore pesa sempre come un macigno, perché il cuore non dimentica mai.

Stringo la presa e sanguina, sanguina ancora. Sotto la pelle c’è un cosmo di lividi dimenticati, di baratri bui, di spine senza utilità.

Poche cose sono certe come il freddo di questo inverno.

Ho bisogno di non aver più bisogno.


* * * * *


«Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio.
Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità.
E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme
tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio.
Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei.
E lo ha fatto. E’ scoppiata tutto d’un colpo.»


E’ necessario smettere di farsi delle domande prima o poi.
E trattenere in bocca il sapore di una vita che dopo esserti stata cucita perfettamente addosso, scivola via con incomprensibile naturalezza, portandosi dietro il buono e il brutto di te, senza far distinzione tra ciò che era morto da tempo sulla tua pelle e ciò che ancora ti era necessario per vivere.

Bisogna continuare a rimescolare quel sapore, e distillarlo con sapiente meticolosità, fino a raggiungere l’essenza di ciò che si è perduto, e scoprire il modo di trovarlo incredibilmente dolce.


* * * *


«È uno strano dolore... Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai.»

I sogni hanno una corazza dura quanto più li abbiamo nutriti e alimentati d’affetto e cure.
Ma spesso il rapporto che abbiamo coi sogni è morboso e malato.
E’ infetto all’origine, non ha possibilità di redimersi.

Che i sogni vissuti siano tutto frutto della nostra fantasia, o che ci siano stati imposti da qualcuno, o che più sottilmente si siano fatti strada negli spazi vuoti di un’esistenza disagiata, non ha veramente importanza.

A cosa serve chiedersi se ciò che si è vissuto si sorreggeva sulle fragili basi dell’illusione?
Se i bisogni vissuti erano alimentati da menzogne e ipocrisie?
Rovinerebbe ogni cosa, anche il bello di ciò che si ha avuto.

Le ferite non si spartiscono mai equamente tra due anime, ma ciò che si è donato rimane l’unica certezza di aver condiviso qualcosa, di aver seminato qualche luce autentica e colma di sentimento, anche nel deserto illusorio più desolato.

«Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci,
non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta.
Si è anzi felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai.
Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico,
tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì,
senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso,
ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu.»

«Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme,

e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede.
Mica per altro che vivere è un mestiere gramo.
Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire. »



* * * *

“La cosa bella dei deserti è che da qualche parte nascondono sempre un pozzo” - direbbe un certo Principe, uno di quelli veri, uno di quelli con un cuore.


E se non ci si sbriga a scavare sotto i detriti che ci siamo lasciati cadere addosso, per trovare quel pozzo nascosto al quale attingere per reinventarci, è possibile che nella miseria in cui già versiamo, ci sia qualcun altro che gode a prendersi gioco di noi.

Qualcuno come il Tempo, che se da un lato cura, dall’altro corre come un forsennato, lasciando addosso quella sensazione di star lì sul binario sapendo di aver perso un’altra volta il treno.

«Sai cos’è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia,
e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia
e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde. E’ come se non fosse mai passato nessuno.
E’ come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera.
E’ tempo. Tempo che passa. E basta. »


«Davvero ci sono momenti in cui l’onnipresente e logica rete delle sequenze casuali si arrende,
colta di sorpresa dalla vita, e scende in platea, mescolandosi tra il pubblico,
per lasciare che sul palco, sotto le luci della libertà vertiginosa e improvvisa,
una mano invisibile peschi nell’infinito grembo del possibile e tra milioni di cose,
una sola ne lasci accadere. »


Come si fa a tenere tutto dentro e a passare le ore a riordinarlo, senza che ci sia una sola possibile combinazione sulle centinaia che la probabilità offre, che riesca a far combaciare gli spigoli taglienti fino a trovare un incastro accettabile?

Sei ancora lì che cerchi di aggiustarti e di digerire tutto quello che continuamente sei sul punto di rigurgitare, quando il caso ti sbatte addosso e ti lascia lì con una possibilità sul palmo della mano aperta.

Non serve ragionare, occorre vivere. E occorre stringere quella mano a pugno fino a farla sanguinare, per custodire tutto quello che deve continuare a far parte di te, e per difenderti a nocche chiuse da tutto ciò che cerca di annullarti, atterrirti e calpestare la tua dignità.
Così poche cose al mondo meritano veramente il contatto carezzevole di quella stessa mano, pronta a sacrificarsi di nuovo per non diventare arida e avvizzita.

«Poi non è che la vita vada come tu te la immagini.
Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Così... Io non è che volevo essere felice, questo no.
Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri.
Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente:
il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No.
Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera.
Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito.
Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile:
e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male.
E’ lì che salta tutto, non c’è verso di scappare,
più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci.
Non si ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare.
Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male
che tu non te lo puoi nemmeno immaginare. »


Occorre scegliere e costringersi ad aprire gli occhi, spalancarli su tutto ciò che terrorizza e annienta, ma che insegna anche a svegliarsi nei confronti del mondo e delle persone.

Occorre capire la differenza tra bisogno e desiderio, e trovare il coraggio di accettare la sfida.

«Forse il mondo é una ferita
e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano -
e nemmeno é amore, questo é stupefacente,
ma é mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore -
tristezza, forse - perfino tristezza - desiderio -
quando lo racconteranno non diranno la parola amore
- mille parole diranno, taceranno amore - tace tutto, intorno. »

«Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è,

tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela,
io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio. »

(A. Baricco – Oceano mare)






E’ tutto nella mente, solo nella mente. E siamo soli, ognuno lo è.

Soli con tutto ciò che costruisce il pensiero, soli con le cicatrici lasciate dai sentimenti che ne derivano.

Per quanto io sanguini e mi aggrappi al senso che le cose devono pur avere, nascosto da qualche parte sotto la superficie di menzogne, tutto ciò che il mio cuore vomita, nel tentativo di liberarsi dei propri fantasmi, non sarà mai abbastanza.

Nulla esiste fuori da noi stessi.

Non ti ho mai toccato veramente, non potrò mai.

Tutto finisce giù per qualche scarico, nell’insignificante quotidianità della rassegnazione.

Nessuna voce di ragionevolezza.

"Ecco perché anche se in stato di coma, boccheggiante cerchi di rinviare l'istante in cui esalerà l'ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un'ora, un minuto. Ecco perché, infine, anche quando smette di respirare esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo…" (O. Fallaci)
Non c’è nulla fuori. Non mi importa più.

Tutto è niente: niente ho avuto, tutto avrò.

E’ solo nella mia testa, e io devo ucciderlo.


* * * * *

Con tutta me stessa vorrei soltanto riuscire a fermarmi, smettere di camminare e basta. Il pensiero che ci sia un domani, e poi un dopodomani, e poi un altro giorno ancora, mi sembra semplicemente insostenibile.

E mi ripugna l’idea di continuare a sopportare quella sensazione di sconforto che sorregge la mia figura, la mia figura ingrata che percorre strade senza uscita, mescolandosi a centinaia di passanti senza mai rivelare lo scompiglio che porta dentro.

Il sole brucia le retine e infiamma il buio profondo di pupille dilatate quanto basta per sforzarsi di vedere. L’unico modo di realizzare i sogni è svegliarsi, ma più spalanco gli occhi e più vedo cremisi.

Che ci sia il sole splendente, o il buio della notte più mite e stellata, se chiudo gli occhi è sempre la stessa cosa che vedo. Una macchia che si espande e fagocita tutto.

Chissà come doveva essere strano ammirare l’essenzialità candida del bianco che si allunga all’infinito, puro e incontaminato fin dove l’occhio può vedere, eppure sentire il sapore del rosso cremisi sulla lingua impastata di rabbia e disperazione. Chissà se scrivi ancora.

Non importa quanto sia lunga e faticosa la strada, perché tanto sai benissimo che ogni svolta ti riporta dritto all’inferno. E allora che sia freddo e che sia gelido. Che sia sangue e che sia neve.

Che sia sole, e caldo, e sorrisi, e parole, e voglia di star bene.

Che sia vento, e che si porti via tutto quanto.

“Piangi per le promesse che sono morte.
Una lacrima per ogni bugia.
L'amore squarcia dentro da sempre,
e io sono l'unico a custodire il tuo dolore.”


Si ha paura di mille cose, dei dolori, dei giudizi, del proprio cuore, del risveglio, della solitudine, del freddo, della pazzia, della morte... specie di questa, della morte. Ma tutto ciò è maschera e travestimento.
In realtà c'è una cosa sola della quale si ha paura: del lasciarsi cadere, del passo incerto, del breve passo sopra tutte le assicurazioni esistenti. E chi una volta sola si è donato, chi una volta sola si è affidato alla sorte, questi è libero. Egli non obbedisce più alla legge terrena, è caduto nella spazio universale e partecipa alla ridda delle stelle.
(H. Hesse)





"E ti vien voglia di sapere se in tutte le storie viene detta la verità.
E ti viene voglia di rinascere, e come un serpente strisciare
ad ogni stagione calda verso una nuova forma." 

1 commento:

  1. Bellissimo.....l'ho riletto non so quante volte per farlo mio....mi ci riconosco in alcuni passi.
    Felice di averti trovata
    Marta.
    Se ti va passa a visitarmi su www.sospiridelcuore.blogspot.com

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